Degli inizi dell'era Obama - Il discorso di Obama per il Nobel

Ecco il testo, liberamente rielaborato in italiano, del discorso pronunciato da Obama nel giardino della Casa Bianca in occasione dell'assegnazione alla sua persona del Nobel per la pace 2009:

"Innanzitutto lasciatemi dire che è meraviglioso avere dei bambini capaci, col loro giocoso disinteresse, di alleggerire di enfasi anche il più solenne dei momenti. Stamane, infatti, sono state le mie Malia e Sasha ad annnunciarmi che avevo vinto il Nobel per la pace: ma mi è subito sembrato chiaro che per Malia l’avermelo detto è stato un pretesto per ricordarmi che oggi è anche il giorno in cui cadeva il compleanno del nostro cane; mentre per Sasha la cosa davvero importante era far notare la felice coincidenza tra quest’appuntamento e i tre giorni di vacanza che la aspettavano.Non credo di essere all’altezza dei tanti, uomini e donne, che, per il loro carisma e il loro coraggio, la forza delle loro idee e della loro speranza, hanno ricevuto questo riconoscimento prima di me, in questa categoria; anzi sono sicuro di non poter reggere il confronto con loro. E soprattutto per questo fatto: perché chi fu premiato per la Pace prima di oggi fu giudicato per le azioni che, nel bene o nel male, portò a termine in nome di essa; ma io, al di fuori delle mie più profonde e convinte intenzioni, non ho fatto molto di più che indicare una strada per il cambiamento nei miei numerosi discorsi. Sapevo e so che la responsabilità della pace mondiale spetta a quei paesi che, per ragioni geopolitiche e, soprattutto, militari, ricoprano, a giusta ragione o meno, un ruolo egemonico nello scacchiere planetario; specialmente dalla caduta del muro di Berlino ai nostri giorni, quando si parla di sicurezza dell’orbe terracqueo gli occhi di tutto il mondo si rivolgono immediatamente agli Stati Uniti. Ora, dire che siano questi ultimi a dettare la linea internazionale della guerra e della pace sarebbe un discorso neoimperialistico, storicamente non accettabile; ma è un fatto che quando gli Stati Uniti si sobbarcano il peso di un conflitto, automaticamente è come se i destini di ciascun paese siano messi in gioco. Ecco perché nella decisione di Washington di aprire un nuovo fronte di guerra, ne va della speranza di un futuro migliore di ogni abitante di ciascuno dei cinque continenti; viceversa l’avvio di un processo di ritiro di un contingente occupante riapre alla speranza globale. Agli Stati Uniti, in una parola, alla lungimiranza delle loro amministrazioni, sta intercettare il sentimento universale degli uomini di questo mondo riguardo ad un avvenire di progresso e di benessere nella tranquillità; un avvenire, dove la minaccia delle armi, in primis quelle nucleari, faccia posto alla possibilità di vivere insieme, nel rispetto condiviso dei valori fondamentali per la conservazione della nostra specie e del nostro ambiente, e in maniera compatibile con le evoluzioni imposte dalla tecnologia. Quanto più la visione di pace degli Stati Uniti coinciderà con quella del resto del pianeta, tanto più saremo premiati, presumo, e non più solo con titoli da mettere in bacheca, ma con risultati effettivi; però al mio paese spetta anche spronare le altre nazioni a seguire un esempio virtuoso.Non è alla mia persona, io penso, ma alla possibilità effettiva di cambiare le cose da parte della potenza che rappresento, che va questo incoraggiamento. In questo momento a me sembra di sentir risuonare nella mia mente le parole che un giorno il presidente Kennedy disse ai suoi elettori e concittadini: non chiedetevi che cosa l’America possa fare per voi, ma cosa voi possiate fare per il vostro paese. Ebbene, oggi l’Europa, l’Asia, l’Africa dei miei avi, l’Oceania, e il resto delle Americhe, sembra vogliano chiederci che cosa l’America, una volta chiusa una pagina oscurissima di tensioni internazionali, possa fare per il mondo impegnato nelle durissime sfide di questo nuovo millennio, ora che la promessa di cambiamento legata alla mia elezione può concretizzarsi compiutamente in un mandato quadriennale; ed è giusto, non ci sottrarremo alle attese. Ma è altrettanto giusto, lo ribadisco, che europei, africani, asiatici, americani ed oceaniani si domandino anche che cosa essi stessi possano fare per collaborare con l’America nella realizzazione delle sue migliori intenzioni, per il bene dell’umanità futura."

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