Ricordo di De Nicola

Nei primi giorni del 2010 Napolitano fu poi nella sua città natale, Napoli, per una cerimonia commemorativa della figura di Enrico De Nicola. Questi, anch'egli napoletano, fu padre costituzionalista e primo presidente della Repubblica, anche se i due ruoli si confondono nel tracciare il suo profilo, dal momento che tenne la massima carica repubblicana per il periodo necessario ad elaborare e far approvare la Carta del nuovo Stato. Sia consentito allo storico, come sempre, rielaborare le parole effettivamente dette attenendosi al tono generale del messaggio espresso con esse.

"Enrico De Nicola, nato in questa città un anno prima che Vittorio Emanuele II si spegnesse, fu prima di tutto un brillante penalista. Divenne deputato per la prima volta all'età di trentadue anni, e, dieci anni dopo, presidente della Camera. Continuò la sua attività parlamentare anche in pieno fascismo, e anche non aderendovi, fino a diventare senatore a vita nel 1929. Agli occhi del regime, infatti, la sua freddezza, o neutralità, nei confronti di Mussolini era compensata dai sinceri sentimenti monarchici, e, vicino al re com'era, parve subito essere l'uomo adatto per ricucire i rapporti tra lui e il fronte antifascista all'indomani del 25 luglio 1943. Ma non sembra si possa affermare un legame diretto tra queste circostanze e il ruolo di primo piano da lui avuto agli esordi della Repubblica: nel suo caso come in quello del successore Einaudi, si può infatti dire, l'elezione a presidente fu il riconoscimento per l'autorevolezza di una statura e di un impegno intellettuali, quelli del giurista per il nostro, del professore di finanza e del banchiere per Einaudi, al di là della collocazione politica. Un uguale criterio di scelta lo si è visto applicare ancora una volta per Ciampi, che di Einaudi può essere considerato l'epigono, in quanto liberale come lui e come lui avendo formazione da economista. Gli altri presidenti che si sono succeduti alla guida dello Stato, invece, sono, esattamente come il sottoscritto, espressione di una parte politica: il primo presidente "politico" fu Gronchi, a cui si deve la creazione della Corte Costituzionale; poi venne Segni, che dovette abbandonare il mandato anzitempo per motivi di salute; Saragat, il socialdemocratico che inaugurò un ventottennio in cui, a turno,salirono al Quirinale un esponente cattolico e uno di area socialista, mentre sul piano governativo viveva i suoi fasti e tramontava la stagione del centrosinistra; Leone, dimissionario per motivi politici, come Cossiga, e, in mezzo ai due, Pertini, il vecchio partigiano nemico acerrimo dei fascisti, chiamato a risollevare l'orgoglio dello Stato in uno dei momenti più bui e sanguinosi della storia repubblicana. Infine Scalfaro, l'ultimo presidente democristiano".

"De Nicola fu il giurisperito insigne di cui l'Italia aveva bisogno per dotarsi della lettera del suo ordinamento costituzionale. All'identità statutaria del nuovo Stato egli ebbe a cuore di imprimere innanzitutto due caratteri: la garanzia dell'azione democratica, attraverso la suddivisione dei poteri, e la coesione del Paese, per mezzo dei valori fondamentali di uguaglianza espressi in essa, uguaglianza di fronte alla Legge e rispetto alle opportunità sociali. Ma la Carta che egli e gli altri padri costituzionalisti ci consegnarono, alla radice conserva anche, in filigrana, un riflesso del vecchio e genuino profilo monarchico del nostro: la sacralità della Costituzione come immagine personificata dello Stato, dal momento che essa doveva servire non come strumento di appoggio e di ausilio ad una persona regnante, ma sostituirsi ad essa come presenza sovrana. E' questo ciò che rende la nostra Costituzione così originale: che in realtà non si governa in nome di Essa, ma è Essa stessa a regnare attraverso le figure istituzionali da Lei create; e tutti sono rappresentati da Lei, ma nessuno La rappresenta, neppure il presidente della Repubblica, che ne è semplicemente il custode ultimo, e l'ultimo baluardo. E così De Nicola che, in cuor suo, avrebbe voluto vedere i Savoia restare sul trono, col beneplacito dei partiti, trasferì la sovranità dalle mani di un uomo a quelle di una legge laica e divina insieme."

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